APJP

APJP nasce nel 2018 da un’idea di Alberto Panocchi e Joelle Pomioli, rispettivamente buyer e fashion designer.
Tutto è partito da un episodio, quando il pantalone preferito di Alberto si è rovinato dopo un lavaggio in lavatrice. Joelle ha avuto la brillante idea di farci un artwork in candeggina e il risultato è stato pazzesco. Da lì sono nate le basi dell’idea e del progetto APJP, ovvero ridare vita ad un capo che avesse già fatto il suo normale corso di “first hand”.
Sperimentando continuamente tecniche diverse, APJP mette a punto una serie di lavaggi e tinteggi che diventano subito molto riconoscibili ed apprezzati. Emerge fin da subito l’anima del progetto, che vuole dare una seconda vita ai capi e utilizzare prodotti e materiali di riuso, così da poter risparmiare nuove produzioni e di conseguenza ridurre l’inquinamento derivante dal fast fashion.
Il risultato è un pezzo unico e sempre diverso.
Come definiresti il tuo stile?
Lo stile del nostro progetto è unico, data la sua singolarità, ispirata dai vecchi capi workwear.
Ci piace chiamarlo “progetto” e non Brand perché lo interpretiamo più come una forma d’arte, un qualcosa di veramente sentito e mai forzato, senza linee guida, tendenze o limiti di alcun genere.
La prima volta di APJP è stata durante la Milano Design Week, in un cortile di Brera, circondati dall’affetto di amici e avventori spontanei.
É stato un live painting molto intenso, intimo ma allo stesso tempo molto spontaneo e naturale.
Da quel momento sono partite collaborazioni con realtà come Puma, Ac Milan e Converse.
Creatività, rendere pazzesca una cosa banale. Sempre pensata alla persona che dovrà indossarlo.


Cos’è per voi la personalizzazione?
Creatività, rendere pazzesca una cosa banale. Sempre pensata alla persona che dovrà indossarlo.
Quanto amate Milano e cos’ha in più delle altre città?
Tanto, tantissimo, a tal punto che questa primavera, in pieno lockdown, mi sono ripromesso che non l’avrei mai abbandonata. Milano è fantastica e offre un sacco di opportunità a chi le sa cogliere. Qui hai il giusto compromesso tra una metropoli che non si ferma mai e i ritmi più rilassati della vita di quartiere.
A che cosa vi siete ispirati per la customizzazione della Jumpsuit?
Come abbiamo detto le nostre performance non hanno né uno schema precostituito né una precisa divisione dei compiti. Può succedere di lavorare a quattro mani sullo stesso capo o in parallelo su due capi diversi. In questa occasione ognuno di noi ha lavorato alla “sua” tuta.
A: Io mi sono ispirato alle vecchie tute da lavoro, abbandonate per anni in magazzino
J: La mia è ispirata da una tipologia di stampa camouflage delle divise militari, alleggerita e stilizzata, riprodotta con una tecnica che abbiamo via via perfezionato.
Come l’avete realizzata?
Abbiamo entrambi cercato di dargli un’allure vissuto ed uno stile contemporaneo applicando della pittura.
Com’è lavorare in coppia?
Bisogna sempre riuscire a mantenere un equilibrio tra sfera personale e professionale, questo è il punto più difficile. Ad ogni modo APJP non sarebbe quello che è ad oggi se non ci fossimo entrambi: siamo un’unione di idee, stili e personalità.
Come vi preparate ad una delle vostre performance?
Il nostro segreto è quello di non prepararci. Sempre spontanei ed impulsivi.
APJP è solo upcycling o un domani potrà essere applicato sul “nuovo”?
Il progetto è nato per dare una seconda vita ad un vecchio capo e l’upcycling è un cardine della nostra identità, vorremmo sempre portare avanti questo concetto.












